La mia prima grotta in corda

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Se qualcuno mi avesse detto solo un anno fa che un giorno mi sarei appesa ad una corda per calarmi dentro un anfratto buio e umido gli avrei sicuramente misurato la temperatura o gli avrei risposto che certe ambientazioni appartenevano solo al mio personale mondo onirico.

Ma a dire il vero non ero tanto sicura di farlo neppure un minuto prima di agganciarmi alle corde. Il mio accostamento alla speleologia (come la maggior parte delle mie passioni) è dovuto ad un incontro molto
speciale con una persona amante di questo mondo  ma devo dire che la decisione di fare il corso speleo è stata per me più una sfida che un vero e proprio progetto. Infatti occorre premettere che durante le lezioni teoriche sulla fauna dell’ipogeo e sull’attrezzatura da indossare per calarsi in grotta io purtroppo ho ceduto ad intervalli alle braccia di Morfeo e questo non perchè non fossero interessanti ma perchè questo è l’inesorabile esito di qualsiasi momento in cui mi rilasso un po’ e smetto di fare e pensare una dozzina di cose in contemporanea.

Insomma domenica mattina ho indossato quell’intricato intreccio di cinghie, corde e moschettoni come chi si veste per carnevale, pensando tra me e me che quel brivido inebriante dell’ignoto mi stava dando
sensazioni davvero nuove e speciali  ed ero davvero pronta a tutto: anche – nel caso – a fare la bellissima figura di piantarmi sul bordo del baratro e dire che da li non mi sarei mossa neppure se da sotto mi chiamava il Padre Eterno. Chi mi conosce bene sa perfettamente che io non conosco vergogna e non temo le cosiddette “figure di m….”. Ma in fondo in fondo sapevo che in quella voragine mi ci sarei calata eccome e che non mi sarei fermata davanti a nessun ostacolo. Che sicuramente mi sarei potuta fare male e non poco ma che finchè davanti a me c’era “strada” da percorrere io avrei continuato.

Ho affrontato l’esperienza come una serie di sfide consecutive e passo dopo passo sono arrivata in fondo. E più andavo avanti e più volevo vedere cosa c’era oltre il cunicolo, dietro il dosso, in fondo al fosso. Cosa mi aspettava oltre l’ostacolo che stavo superando. Un’ esperienza unica che non dimenticherò mai. Il mio carattere impulsivo forse mi ha portato a provare impazienza e magari anche un po’ di irrequietezza mentre aspettavo che tutti i compagni di corso si calassero con le corde e magari anche un po’ di fastidio quando ci si doveva fermare ad aspettare gli altri ma questo mi accade solo per le cose migliori. Mi piace
bere la vita a grandi sorsi e questa domenica ho fatto una delle mie migliori bevute e in ottima compagnia!

La cosa più comica di questa mia prima esperienza è stata che all’andata tutti cercamo di bagnarci il meno possibile, passando nel corso d’acqua restando nei punti meno profondi senza sapere che al ritorno
saremmo passati nello stesso punto bagnati fino alla vita. La cosa più straordinaria invece è stata che non pensavo che al ritorno sarei stata non solo più sporca ma anche più felice. Camminare con le scarpe
piene d’acqua e la tuta infangata in mezzo al corso d’acqua mi ha fatto sentire come quando d’estate si cammina sull’erba fresca a piedi nudi, ma soprattutto mi ha fatto sentire il contatto con la natura
selvaggia, parte di questo mondo buio e nascosto.
Una sensazione davvero impagabile!

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Non posso finire il racconto della mia esperienza senza citare i miei compagni di avventura con i quali ho riso davvero tanto (Mattia che ha fatto più foto di un paparazzo in Costa Smeralda e Francesco al quale
ricordo che abbiamo un opera d’arte da ultimare) e senza dire che gli istruttori sono davvero….. davvero…..che dire:  molto bravi? E’ banale e riduttivo. Diciamo unici.  Claudia che mi ha aiutata a scendere
e che mi chiama Alessia c.d.m., Fabrizio sui cui piedi ho fatto una caduta molto particolare che ad un uomo avrebbe comportato il cambio di sesso all’anagrafe, Davide che ci ha deliziato con i postumi sonori
del tortino di carciofi mangiato il giorno prima, Sergio che per me è un campione di pazienza e Antonio che durante la risalita mi ha mollata perchè forse dopotutto non ero così male anche da sola. E anche tutti gli altri ovviamente che non cito non perchè non ne siano degni ma solo perchè io ero lontana da loro e quindi (a parte l’episodio della foto di gruppo con la macchina inesistente) non ho nulla da raccontare.

Concludo dicendo che nonostante porti chiari i segni di questa esperienza (dolori e lividi ovunque) non vedo davvero l’ora di ripetere l’avventura alla prossima uscita.

Stefania Serri

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