Una notte dentro S’Edera

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Ma cos’è che mi spinge a ficcarmi sotto centinaia di metri di calcare, al freddo, all’umido e al buio?
Ogni volta te lo chiedi. Poi però sei sempre disposto a rientrare in questi luoghi magici, luoghi che la gente comune immagina grandi al massimo quanto la loro cantina di casa.

16 e 17 Settembre 2006.

Spesso preso dalla stanchezza, dal freddo, dalla voglia di cose in quel momento impossibili come una teglia di pasta al forno, una grigliata di pesce, un boccale di birra fresca, un letto caldo, una doccia, dici – con la grotta ho chiuso- poi però si trova sempre una ragione.
Certe volte ti serve il contatto con la roccia, il silenzio, il buio, il solo rumore dei tuoi passi scandito dallo sbattere della ferraglia che porti addosso, la fatica nel trascinare quello zaino pesante ed ingombrante nelle strettoie, che trova sempre il modo di incastrarsi nelle maniere più impensate, e tu frastimi.
Certe volte rimani fermo e disteso sulla roccia umida, a luci spente, ad ascoltare il silenzio mentre aspetti i tuoi compagni.

Questa volta niente zaini pesanti, considerando che le altre due volte in cui sono entrata a S’Edera era stato per portare dentro o fuori gli zaini degli speleosub.
Questa volta solo una visita a zaino leggero.
In questi ultimi giorni qui a Cagliari ha piovuto ed anche il fine settimana non promette bel tempo, ci chiediamo che tempo abbia fatto ad Urzulei.
I racconti di Roberta che, trovandosi alla frana di S’Edera, si diede alla fuga veloce per l’improvviso sollevarsi del livello dell’acqua, causato dalle piogge esterne, ci fanno pensare che molto probabilmente la frana non si farà.
Partiamo da casa di Davide, ci facciamo quelle tre orette di viaggio rese cosi’ liete dal parlare incessante tra Sergio e Davide, un vociare per il quale vorresti buttarti fuori dalla macchina in vorticosa corsa…. vista la guida di Dapi.
Arriviamo a destinazione, stando bene attenti a non mancare nessuno dei buchi presenti lungo la strada da Punta Is Gruttas a S’Edera, va behh guidavo io.
Ovviamente c’è un freddo cane, ci vestiamo ed indossiamo il caldo sottotuta in pile alla velocità della luce.
Cazz…che freddo che ci sarà quando usciamo!
I cani dell’ovile vicino incutono terrore con il loro guaire, la grotta sarà sicuramente un luogo più sicuro.
Gli zaini sono pronti, abbiamo solo acqua e da mangiare.

Ore 19.30 circa.
Vedere tutta la terra mista arbusti, incastrata ad ogni dove e alle altezze più disparate, all’ingresso della grotta, non mi rincuora affatto su un eventuale piena.
Speriamo di non finire uso fluorescina.
Va behh ormai siamo qui!
Dopo aver camminato tra massi di frana incontriamo la prima corda.
Ne incontreremo altre due e poi il pozzo della Grande Marmitta.
Scendo per prima, mi siedo al buio ed aspetto che gli altri si calino. Nella penombra generata dai caschi led sembra di trovarsi dentro un enorme tubo. Pensi a quanta potenza dovesse avere l’acqua per aver generato una “cosa” simile, pensi che è difficile immaginarselo e che forse è meglio cosi’ …altrimenti non mi troverei comodamente seduta alla base della stessa.
Più avanti il rumore scrosciante dell’acqua mi riporta alla mente come si è generata questa grotta e che al suo interno ci scorre un fiume.
Ci rendiamo subito conto che c’è più acqua dell’ultima volta.
I passaggi sulle marmitte, che sembrano ridenti nell’attendere il disgraziato che cadrà nelle sue tanto smeraldine quanto troppo fresche acque, mettono alla prova le nostre doti alla Heather Parisi.
Allunghi e spaccate mai viste, posizioni degne di una scalata da 8° pur di non cadere in quelle gelide acque.
Lungo il fiume, mentre io e Davide ci spacchiamo nei modi più disparati pur di non bagnarci nemmeno la punta dello stivale, Sergio, più pratico e sopratutto con poca voglia di rompersi i cosi’ detti, cammina avidamente in mezzo all’acqua.
Percorriamo la Galleria Pelagalli, superiamo il sifone affluente da Sa Funga ‘e Sabba, ancora qualche passaggio ed arriviamo alla sala Luigi Donini, in cui finalmente mangiamo.
Sergio toglie fuori dal suo zaino, trasportato con la cura degna di un collezionista di swarovski, il contenitore con le uova sode. Forse un elefante ci deve aver ballato la polca sopra.
Non era piu’ riconoscibile che forma potesse avere un uovo, e tanto meno erano distinguibili il rosso dal bianco.
Mentre Sergio si lamenta dei suoi acquisti straccu barattu al supermercato pellicano, riassumibili in: simil tocchetti di grana padano mezzo ammuffiti, e simil simmenthal di marca ignota e di sapore ancor piu’ ignoto, io e Davide andiamo a dare uno sguardo alla frana terminale.
Al nostro rientro troviamo una capannina argentata illuminata da esili lucine, sono Sergio, Claudia e le candele avvolti al caldo del telo termico. Di buono c’è che la grotta non può andare a fuoco…..ops ma loro si!

Risistemazione veloce degli zaini e si ripercorre la grotta a ritroso.
Sergio rimane indietro rispetto a noi, adduce la scusa che è a causa della sua mole e che spera nel giorno in cui saremo tanto grassi o grossi o ingombranti, insomma tipo lui …da capire che cosa significa fare certi passaggi.
E per farci sentire ancora più in colpa ci dice che mentre è rimasto indietro è scivolato sbattendo dolorosamente la tibia, tutto ciò al solo fine di trovare il momento idoneo per sbolognare il suo zaino speleo a Claudia.
Mentre Sergio sogna come far saltare massi e dove porre bombe atomiche per allargare e plasmare a sua forma e misura la grotta, Claudia manda frastimi allo zaino che si incastra ma soprattutto a Sergio.
Mentre sono davanti agli altri, ogni tanto mi fermo per ascoltare la voce del buio, che viene destata solo dalle luci e dalla voci dei miei compagni. Ogni tanto mi fermo sospesa a metà corda, penso a ciò che ora sostiene la mia vita e alla tranquillità che ho nello stare li in quel momento, in quel luogo, in quella condizione. Passo dopo passo, corda dopo corda si sente già il cambiamento d’aria e l’odore forte della terra bagnata.
I tronchi accumulati in giro per la grotta indicano che siamo già fuori e fortunatamente non piove, ma c’è il solito vento che sembra regnare sovrano quando esci da qui.
I miei passi e la ferraglia che mi porto dietro, destano il poltrire dei maiali, che qui all’ingresso della grotta trovano riparo.

Sono le 4.00 del mattino, regna il silenzio, un cielo a tratti nuvoloso e con qualche lampo in lontananza, la falce della luna che illumina il buio.
In tempi rapidissimi mi cambio, mi infilo due felpe in pile, calze, scarpe ed un pantalone lungo asciutti. Che bella sensazione!
Tutti pronti, cambiati e soprattutto asciutti ci mettiamo in marcia per trovare un luogo dove farci qualche ora di meritato riposo.
Qualche km di curve in compagnia di Vinicio e poi il caldo e comodo sacco a pelo sarà conclusivo di questa nottata dentro Sa Rutta de Sa Edera.

Questo racconto, come si può ben capire, non è descrittivo della grotta e delle tecniche ma vuole più essere descrittivo del fatto che si vive una grotta, un luogo, un uscita in base ai tuoi compagni.
Se quindi anche voi troverete divertente leggere queste righe, avrete capito come è stata questa uscita, al di là della bellezze della grotta in se.

Vorrei ringraziare tutti coloro hanno aiutato il piccolo Roberto di Gavoi.
Le numerose donazioni ed il fatto che sia stato raggiunto l’obiettivo sono grande prova di amore e solidarietà per la vita.
http://www.proroberto.it/

Giovanni Lonis

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